Sant’Angelo dei Lombardi, Rocca San Felice, Guardia dei Lombardi, Frigento, nomi di paesi che hanno riempito le tristi cronache del terremoto che scosse l’Irpinia il 23 novembre 1980. È curioso pensare come le date di immani disgrazie restino impresse nella memoria di ognuno, abbinate al ricordo di dove si era, cosa si faceva in quel momento esatto.
Io ero in un paese dell’Appennino emiliano, in compagnia di un amico del Gargano che era in vacanza da noi; penso a questo mentre attraverso questa parte dell’Irpinia, prosecuzione di quell’Appennino che lega l’Italia in un filo indissolubile, anche se martoriato da anni (come nel caso dei boschi di castagne di Montella, sempre qui in Irpinia, la cui produzione è scesa all’8%), spopolato al punto che è una macchia nera nella mappa satellitare, ormai silenzioso anche dei rumori del bosco, eppure ancora terra di sogni, di progetti e di speranza.
“Mio nonno mi diceva sempre che da grande avrei potuto scegliere se essere imprenditore ricco di un’azienda povera o il contrario” racconta Angelo Nudo, mentre ci accoglie al Marennà, il ristorante di Feudi San Gregorio di cui è direttore, per spiegare il suo sogno: tenere in vita il suo territorio natale, attraverso un formaggio.
Nasce da qui, dalla determinazione di Angelo Nudo, un’azienda che non potrà mai essere povera perché il suo patrimonio è fatto di entusiasmo, capacità e giovinezza: Carmasciando, questo il nome, prende a prestito la denominazione del formaggio Carmasciano, che si produce da tempo immemore in questo pezzo d’Irpinia.
“C’è un’idea forte dietro al progetto che Angelo ha perseguito: quello di portare a sistema un prodotto che, ancor oggi, si fa più o meno in ogni casa di queste terre, ma che rischia di perdere la sua storia proprio perché queste terre, queste tradizioni e i costi che comporta questo tipo di produzione sono sempre più difficili da salvaguardare e sostenere” spiega Michela Marano, la giovane responsabile commerciale di Carmasciando.
“Ma prima di assaggiare il Carmasciano bisogna capirne l’origine” prosegue, accompagnando me e il fotografo Luciano Furia (che mi ha parlato per primo di questa storia) al lago di Mefite. Ci si arriva con l’odore di zolfo che penetra nelle narici chilometri prima: “Est locus Italiae medio sub montibus altis nobilis et fama multis memoratus in oris, Ampsanctis Valles… “ , così lo descrive Virgilio nel settimo canto dell’Eneide, mentre oggi ad accoglierti c’è un cartello che avverte, a chi si avvicina troppo, di pericolo di morte.
“Tutto nasce da qui, dalle effusioni vulcaniche sulfuree che sono determinanti per le caratteristiche organolettiche del Carmasciano, essendo le stesse, trasportate dai venti, insieme alle grandi varietà di erbe, l’alimentazione unica delle pecore. – racconta Michela – Oggi noi possediamo 450 pecore e abbiamo avviato la produzione del Carmasciano con il preciso intento di ricreare un ciclo biologico virtuoso sul mondo dei formaggi”.
Quel noi sta per: Angelo Nudo che ha voluto il progetto con tutte le sue forze, Roberto Mazzei, che assolve al ruolo di amministratore delegato dell’azienda, Michela Marano, che è la responsabile commerciale, Eleonora Palladino, responsabile del caseificio che è anche cheese-bar, Giuseppe Bozza, il giovane casaro.
Ed è proprio Giuseppe che ci spiega, con una battuta fulminante, tutto l’impegno e la passione che sta alla base di questo progetto: “Fare un formaggio è cosa risaputa, nei tempi e nei gesti, ma è il suo affinamento che è nelle mani dell’uomo”.
Non è impresa facile saper affinare e tutta la gamma di formaggi che fa da corollario al Carmasciano, eccellenza per pochi, è la conferma di quanta bravura è riposta in questa start-up appenninica; toma irpina, caciocavallo irpino, blu di pecora, nocerino, toma conciata sono alcuni degli altri straordinari formaggi che nascono a 749 metri d’altitudine in contrada Carmasciano.
“Vogliamo fare cultura del formaggio e proprio per questo non ci limitiamo a produrre solo le forme ma anche gli attrezzi del mestiere” precisa Michela. Per i loro clienti hanno ideato la carta dei formaggi con un piccolo tagliere da degustazione, i coltelli e gli attrezzi da formaggio, il carrello da lasciare in comodato ai ristoranti. E il cheese-bar!
“Il nostro cheese-bar è quasi virtuale tanto è flessibile. Infatti per noi cheese-bar significa formaggi selezionati, personale qualificato, attrezzature che possiamo allestire ovunque ci vengano richieste” specifica Michela.
Quel noi ritorna e, a questo punto, la domanda è d’obbligo: a parte Giuseppe il casaro, chi altri di voi ha avuto esperienze nel complicato mondo dei formaggi?
“Con noi c’è un padre putativo che si è innamorato del nostro progetto e ha deciso di seguirci: Renato Brancaleoni” svela Michela.
Non so perché, ma me lo sentivo assaggiando formaggi di straordinario e originale affinamento; la mano dell’uomo, ricordava Giuseppe. E la mano, il naso, i sensi di Renato Brancaleoni, eccelso affinatore di Roncofreddo dove si trova la sua Fossa dell’Abbondanza, si sentono a chilometri di distanza, come le esalazioni di Mefite. Solo che, anziché mortali, sono paradisiache.
Non è più una macchia nera notturna l’Appennino; qui c’è una piccola luce che si accende tutte le mattine all’alba, quando Giuseppe entra nel caseificio, si spegne a notte fonda quando gli avventori del cheese bar se ne tornano a casa soddisfatti e questo puntino va solo collegato con pazienza agli altri, sempre più numerosi, che vedono i giovani crederci, ritornare, in molti casi, nelle loro terre d’origine, in altri scegliere una vita diversa. Un Appennino che torna a vivere, questo è l’auspicio per vedere un’Italia capace di volersi bene.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it
Carmasciando azienda agricola
Contrada Carmasciano
Guardia Lombardi (AV)
www.carmasciando.it