In tanti sanno che l’avvento del calendario gregoriano, voluto da Papa Gregorio XIII nel 1582, cancellò dieci interi giorni dalla vita delle persone passando dal 4 al 15 ottobre per rimettere a posto l’orologio. In pochi però sappiamo come il tempo convenzionale che conosciamo adesso sia ben diverso da quello in essere fino al 31 ottobre 1893, quando anche l’Italia aderì al trattato internazionale dei fusi orari e spinse in avanti le lancette di 10 minuti per adeguare l’ora di Roma a quella dell’Europa Centrale.
Prima di allora il tempo aveva una scansione dettata dagli orologi solari, che determinava il ritmo del lavoro e della vita delle persone.
“Non c’era paese o campagna che non avesse un orologio solare. Una regola importata dal mondo arabo e studiata nei monasteri fino al 1400” racconta Giuseppe Giudici, gnomonista per passione dal 2013, ma affascinato da questa disciplina fin da ragazzo quando, ricorda: “Divoravo le dispense di gnomonica che l’ammiraglio Girolamo Fantoni, padre della gnomonica italiana, pubblicava su alcune riviste di astronomia, fino a costruire nei primi anni ’80 le mie prime meridiane”.
La conoscenza con Giuseppe Giudici risale allo scorso autunno, in occasione di Orticolario a Como, dove aveva partecipato al concorso Spazi Creativi con il progetto Metamorfosi: un giardino, ideato in collaborazione con l’amico allestitore Roberto Ducoli, “dove si è voluto alludere alla capacità della luna di influire su piante e fiori, al suo potere di trasformare luoghi e atmosfere, oltre che umori e caratteri”.
Ad intrigarci davvero era però il suo spazio espositivo, pieno di orologi solari e meridianea, uno più bello dell’altro, ognuno con una propria storia da raccontare.
“Ma il lavoro più bello che ho fatto non è qui. – ci spiegò Giuseppe – Si trova in piazza Duomo a Bobbio, sulle colline piacentine in Val Trebbia: ho ripristinato, portandolo alla sua funzione originale, un orologio solare inciso su un’antica abitazione. Il signore che mi ha commissionato l’opera ha circa ottant’anni e l’entusiasmo di un bambino; vide quelle linee tracciate sul muro, tornate alla luce dopo il restauro della casa, apparentemente senza senso e mi chiamò. Oggi vedere che si può tornare a leggere il tempo come secoli fa mi dà una grande emozione”.
Costruire orologi senza tempo significa anche adeguare il proprio ritmo di vita? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Giudici, dopo essere andati a Bobbio a osservare il tempo come secoli addietro.
“Come tutte le passioni anche questo “lavoro” non conosce orari, sia di notte che di giorno, non esiste sabato o domenica, ogni momento è buono sia per avere un’idea che per realizzarla, con buona pace di mia moglie che mi sopporta (ma la mia vita era già così prima di diventare gnomonista)”.
È un fiume in piena di informazioni, aneddoti, storie antiche e recenti Giuseppe Giudici, quando parla della sua passione: “Le persone che si fermano davanti al mio stand solitamente hanno già un minimo di conoscenza di quest’arte ed è quindi più facile per me far capire loro che il quadrante di una meridiana non è semplicemente un orologio preciso, ma si tratta della proiezione matematica del cielo che è davanti alla loro casa e il quadrante di un orologio solare è uno specchio del cielo, dove l’ombra dello stilo segna il percorso del sole, il quale deve essere realizzato espressamente per quel luogo e quella parete. Quando si comprendono questi concetti se ne apprezza la complessità e il valore, si impara a leggere i diagrammi dei quadranti e a capire la relazione che lega l’ora solare all’attuale modo di misurare il nostro tempo; allora guardano in modo diverso tutte le meridiane e, a maggior ragione, con estrema soddisfazione la propria (solitamente gratificando con i complimenti chi l’ha realizzata)”.
Lui ne ha realizzati diversi di orologi solari, o senza tempo come ama definirli, “perché il tempo come lo conosciamo, non è nient’altro che una convenzione. Se pensiamo che fino a prima dei trattati ottocenteschi veniva misurato dalle linee della meridiana e dalle campane che suonavano al tramonto per avvisare il contado che mancava poco all’imbrunire, ora in cui si chiudevano le porte della città”.
Erano i ritmi naturali del giorno e della notte a scandire la vita delle persone e al tramonto iniziava il nuovo giorno, la mezzanotte di oggi.
“I primi obelischi di Roma erano gnomoni, portati da Augusto dalla conquista dell’Egitto, dove la gnomonica era diffusa a tal punto che, fin dal 1500 a.C., erano già in uso orologi solari portatili chiamati merkhet. Molti obelischi sono utilizzati per linee meridiane, che generano quadranti enormi, come quello di Montecitorio la cui ombra finisce all’ingresso. Il problema è che la loro funzione è stata studiata su sistemi orari differenti, con estati molto ampie e inverni brevissimi, e quindi non sono attendibili”.
Non smetteresti mai di ascoltare Giuseppe Giudici, anche perché riesce a darti una percezione del tempo davvero diversa da quella che viviamo quotidianamente e, forse, l’interesse che si sta risvegliando, come lui stesso ci ha confermato, intorno a questi orologi senza tempo deriva proprio dal bisogno che “di tanto in tanto qualcuno sente di riposare per un momento, cercando di considerare la misura del tempo al modo antico, superato, ma fuori dalla frenesia del centesimo di secondo, al modo cioè degli orologi solari”, come scrisse anni fa Girolamo Fantoni.
Luigi Franchi
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