L’approccio al mondo artistico di Laura Cadelo Bertrand è iniziato a 8 anni, quando il papà Silvio, poliedrico maestro d’arte di un certo calibro, la inserì nella compagnia teatrale da lui stesso fondata: il Teatro dell’Utopia. Laura si rivede ancora nelle vesti della zanzara, con le grinze rosse sul culetto, mentre interpretava quella particina insidiosa, ben lontana dalle rosee visioni di una bimba di quell’età, che alla fine però l’ha divertita, si è rivelata per lei liberatoria.
Ancora non poteva immaginare che quel debutto sulla scena avrebbe delineato nitidamente la sua strada;
complice quel suo crescere dentro l’arte, sia per gli stimoli paterni nelle più diverse discipline -dalla pittura all’acrobazia- sia per la frequentazione degli amici dei genitori, pressoché tutti artisti.
Tutto questo rese naturale l’accesso alla prestigiosa scuola parigina di Marcel Marceau, una fucina delle più diverse discipline, dal mimo alla danza, dalla scherma alle acrobazie teatrali, funzionali ad un approccio completo al teatro visivo. E’ qui che Laura affina quella sensibilità artistica che parte dallo sviscerare l’essenza di ciò che deve rappresentare con la sola forza della gestualità, il mimo appunto.
Ma nella sua evoluzione – me lo ha raccontato lei stessa – è la scultura a prendere il sopravvento sul teatro, culminato nella forma sperimentale, che l’aveva vista mettersi alla prova anche come scenografa e coreografa.
Ho conosciuto questa artista sorprendente nel 2009, in occasione di una splendida notte parmigiana di inizio estate quando gli antichi borghi nel cuore della città si sono trasformati in una galleria d’arte a cielo aperto, pronti ad ospitare pittori e scultori eccellenti, portando l’arte in strada nell’intento di andare incontro alle persone, tutte, e non viceversa. Laura mi era stata segnalata da un’amica gallerista, insieme a una rosa selezionata di 80 artisti.
In quello scenario notturno e nell’intimità di una postazione riscaldata da una luce soffusa, è avvenuta la mia folgorazione alla vista di opere così particolari da apparirmi subito uniche nel loro genere. Protagonisti erano i metalli, fili o lamine sottili, che lavorati con diverse tecniche avevano preso la forma di finissimi e significativi accessori o sculture. In tutto ciò che osservavo avvertivo un’anima pulsante, e in alcuni casi micro-mondi narranti.
Trascorre qualche anno e, girovagando in bicicletta nel centro storico di Reggio Emilia, transito davanti a una vetrina con oggetti a me famigliari in mostra. Ricollego immediatamente: si tratta di Laura Cadelo Bertrand.
Da quel giorno accade che mi fermi al laboratorio per un saluto, due parole, per respirare quell’ambiente o anche semplicemente osservare Laura al lavoro. Quello spazio così ricco delle sue opere e cosi impregnato dei significati è una sorta di dimensione fuori dal tempo. Lo dice lei stessa: “io non mi rendo conto dello scorrere del tempo quando sono qui dentro, potrebbe arrivare domani senza che lo percepisca”.
Se c’è qualcosa che mi affascina sono le persone ricche di contenuti e senza ostentazione. E se c’è una tentazione che mi prende è quella di entrare, anche per pochi istanti, nel loro pensiero. Così rilevando complessità e potenza concettuale in ogni singolo pezzo realizzato da Laura, è arrivato anche il giorno in cui mi sono chiesta e le ho chiesto da cosa nasca una sua opera; se un tema, un titolo, guida la sua mano nel realizzarlo o se tutto parte da una libera espressione creativa a cui solo dopo, a seconda del risultato, viene assegnato un titolo.
“Il punto di partenza è uno stato emozionale – mi ha spiegato l’artista – che si traduce nella mente in un’immagine poi trasformata in uno schizzo rapido, capace di portare a sintesi quella condizione”.
Questo schizzo, realizzato su un pezzo di carta volante o un angolino di quaderno viene lasciato lì qualche giorno, o qualche mese, o anche due minuti soltanto. Perché il tempo è spesso l’elemento dinamico che fa evolvere le condizioni di partenza in altro. Realizzata l’opera non resta che assegnarle il titolo in grado di comunicare il punto di vista dell’autrice.
Esco ogni volta più ricca dal laboratorio di via Due Gobbi 3, quel luogo che amo tanto perché ha in seno un collettivo di artisti, che lì abitano e lavorano, in una pittoresca casa di ringhiera! Un luogo straordinariamente unico a Reggio Emilia, che per Laura riveste un grande valore.
Qui ha maturato l’amore per Luciano Bertrand, l’allora vicino di casa e ora marito, uomo di solida cultura artistica e musicale, che ha saputo accogliere e valorizzare le propensioni di Laura, promuovendola anche oltreconfine e organizzando per lei prima spettacoli poi splendide mostre-evento.
Sempre qui, in via dei Due Gobbi, Laura ha impiantato il suo laboratorio avviando progetti che coinvolgono altri artisti, come nel caso dell’Atelier Viaduegobbitre. In occasione della Fotografia Europea la casa di ringhiera apre le porte al pubblico con mostre dalla cantina alla soffitta, un imperdibile momento su tutti quelli che sono in programma in quelle settimane a Reggio Emilia.
Questa creatura, delicata come la sua carnagione biancolatte ma instancabilmente determinata, come un’eterea ballerina si muove leggiadra a piedi nudi, per meglio percepire il mondo, e con grazia si esprime, nella più grande messa in scena di ogni giorno che è la vita!
Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it
Atelier Laura Cadelo Bertrand
Via dei Due Gobbi, 3/A
42121 Reggio Emilia
www.lauracadelobertrand.it