La prima cosa che abbiamo visto, una volta arrivati a Contrada Migluzzi, dove lavora Vincenzo Brunetti, allevatore di Podolica calabrese, sono stati i primi articoli della Costituzione Italiana scritti con il gesso sulla porta della stalla.
“A mio parere è il testo più bello che sia mai stato redatto. – afferma Vincenzo Brunetti, allevatore sulle montagne che circondano Rossano Calabro – E scriverlo mi aiuta a ricordare quanti sacrifici, anche di uomini e donne, ci sono voluti e mantenere la forza di andare avanti a fare questo lavoro”.
Nasce da qui la convinzione che valeva davvero la pena di seguire il consiglio di Pietro Lecce, titolare della Tavernetta di Camigliatello Calabro, nel cuore della Sila, che dopo averci fatto assaggiare un piatto con questa carne ci ha amorevolmente obbligato ad andare a conoscere il produttore.
Sono vissuti da sempre i terreni su cui si inerpicano le vacche podoliche che Vincenzo ha riportato nell’habitat naturale. Prima il nonno, poi il padre, infine lui che, dopo gli studi universitari e il militare, ha deciso di tornare a vivere dove è nato, a fare ciò che, fin da piccolo, ha visto fare: allevare e coltivare.
“La Podolica è una razza che, fino al secondo dopoguerra, era riconosciuta sia come genealogia sia per i concorsi che, attorno a questo animale, si svolgevano, con premi importanti. Poi non è stata iscritta al registro delle razze italiane e, da quel momento, il declino” ci spiega Vincenzo.
Infatti le statistiche parlano di un calo dell’80% negli ultimi quarant’anni. Ma che razza è la Podolica?
“Sono tante le versioni. A me piace quella che la vede originaria dell’Asia, ma soprattutto la cosa bella di questi animali è che ha conservato quella che oggi si chiama rusticità. Per me che le allevo sono le più belle, antiche e nobili nel loro portamento. E intelligenti, con un loro linguaggio che, se presti attenzione, puoi arrivare a capire. Questo aiuta tanto nell’organizzazione del lavoro”.
È quasi onirico il racconto di Vincenzo, ma poi ti trovi a toccare con mano gli esempi che ci fa e finisce che ti innamori perdutamente di questo animale, davvero bellissimo nel portamento.
“La loro società non è quella che noi immaginiamo. Loro parlano, sono organizzate secondo regole. Io lavoro con la loro organizzazione. Fino a tre anni stanno sempre insieme, se rispetti questa cosa non ci sono prevalenze. Dopo i tre le faccio partorire e si mettono in proprio. Se litigano i maschi ne metti uno più grande che determina la disciplina”.
Vincenzo parla alle sue Podoliche, le chiama per nome, ne rispetta i ritmi, la vita. Il latte, ad esempio, lo produce solo in primavera – “come secca l’erba secca il latte” – e, quando munge ne lascia sempre per il vitellino.
“Non mi cambia la vita prenderne meno, la cambia invece a loro, madre e figlio. La mungitura è fatta a mano, con un sistema che ho ideato io perché questa vacca il latte te lo dà solo se ha vicino a sé il vitello”.
Lo guardiamo questo meccanismo ingegnoso: un box tra i due recinti dove lui chiama per nome la vacca e lei arriva da un lato e il vitello dall’altro.
“Sono talmente intelligenti che, dopo qualche giorno, il vitello sa in quale numero di chiamata tocca a sua madre e a lui di muoversi. Basta prestare attenzione alla loro organizzazione sociale. E viverci insieme. Ma sai cosa vuol dire vivere vent’anni con una di loro? Vedi questa, ha due anni e io 47. Staremo insieme fino a quando io più di 60 anni”.
No, non lo sappiamo cosa vuol dire viverci insieme così a lungo, ma abbiamo potuto vedere con i nostri occhi come Vincenzo abbia rispetto e attenzione, la passione che lo tiene inchiodato alla sua terra, anche quando è difficile resistere, anche quando hai poche possibilità e speranze che questo mestiere possa essere redditizio.
“Ho un solo modo per vendere la mia carne. Portarla direttamente a destinazione delle famiglie. Poca ristorazione perché chiedono solo i pezzi più conosciuti, lombate e filetti. E il resto? Perché devo privare delle bistecche le famiglie che mi prendono il pacco da tre chili ogni mese?”
Vincenzo, una volta al mese, porta i vitelli a macellare e sezionare in un laboratorio a 80 chilometri da casa; poi va ad affittare un furgone refrigerato a Lamezia, altre decine di chilometri, fa il giro delle famiglie nei dintorni, riporta il furgone e rientra a casa. Non vuole cambiare questo metodo, non vuole abbandonare il piacere di rendere democratico il consumo delle sue carni, nonostante la complessità del sistema di consegna e la scarsa redditività.
“Abbiamo ideato sei tipologie di confezione, funzionali al fabbisogno delle famiglie e, in questo modo, vendo l’intero animale”. La consegna avviene quando la frollatura è arrivata, in ventun giorni, al punto giusto. In ogni pacco un foglietto, con ricette da collezionare e istruzioni per l’uso, tra le quali la raccomandazione di non salare la cerne.
“Le nostre carni hanno già il giusto grado di sapidità, perché il fabbisogno di sale lo determina l’animale stesso. Nella loro alimentazione non metto sale di cui non conosco la composizione, ma faccio arrivare periodicamente blocchi di sale dalle miniere siciliane e l’animale lecca quando ne avverte la necessità”.
Ma perché, chiediamo, se le carni sono buone, se la razza è intelligente, se anche il latte ha un valore nutrizionale più elevato, non aumentano i capi allevati?
“Vedi quel rudere? E quello? E quello laggiù? Fino a qualche decennio fa erano tutti abitati, la montagna era presidiata. Poi è arrivata l’emigrazione e, per quei pochi rimasti, sono arrivate dal nord razze bovine che potevano vivere solo in pianura. La razza si è persa e, con lei, la memoria. Da lì è iniziato il declino. Che, purtroppo, da un paio d’anni, ha ripreso con l’emigrazione di molti, troppi, giovani. Ma nessuno ne parla”.
Invece Vincenzo ha scelto di restare, di non abbandonare le sue terre: “Si diventa così quando capisci quanto ti può offrire un territorio come questo. Non ci sono tante strade da intraprendere: se questa terra, per tanti motivi, è stata vergine mica dobbiamo pensare a come inquinarla”.
Lui e un manipolo di altre persone hanno dato vita ad un gruppo di acquisto solidale – Arcobaleno – per favorire il consumo delle loro produzioni. “Ma non è solo un modello di acquisto: è un comportamento, anche culturale, rispettoso dei luoghi, delle coltivazioni, degli stili di allevamento. Abbiamo un codice etico che tutti, produttori e consumatori, sottoscriviamo”.
Resiste Vincenzo, anche quando la sua voce si indigna davanti al pensiero che “la Calabria è la mammella a cui attingono tutti”. E sogna, quando vede una delegazione del Trentino scendere nelle sue terre a conoscere la Podolica; tecnici e allevatori che si sono posti il problema di ripristinare gli alpeggi, per mantenere il presidio dei boschi e delle montagne.
“E la Podolica è l’animale più adatto per fare questo”. Vincerà lui, vinceranno i suoi sogni, lo sappiamo!
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it
La Sulla, azienda bioagricola
Contrada Migliuzzi
Paludi (CS)
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