“Tu sei la donna del grano e delle cipolle. Tu sei il produttore di pomodoro riccio. Tu quello delle mozzarelle”. Mi ci sono voluti pochi secondi per individuarli con assoluta precisione, come se li conoscessi da sempre tanto appassionato è stato il racconto dei suoi contadini che Franco Pepe, il pizzaiolo di Caiazzo, mi aveva fatto fin dal nostro arrivo poche ore prima.
Mi sono trovato in loro compagnia in un luogo insolito, una delle tante sorprese che ti riserva una giornata con il maestro pizzaiolo se ti lasci accompagnare e coinvolgere dall’amore indissolubile che nutre per la sua terra; infatti eravamo tutti un po’ stupiti, nelle sale del seminario vescovile, mentre Rossano Orchitano, giovane fotografo caiatino, ci illustrava lo straordinario processo di digitalizzazione dell’intera biblioteca ecclesiastica che lui e il suo piccolo gruppo di collaboratori hanno portato a termine in soli sei mesi: 400.000 fogli di documenti, registri e libri dal 1.200 ad oggi.
Poi la passeggiata tra i vicoli, in attesa di sederci in uno dei tavoli di Pepe in grani dove le loro storie si sarebbero svelate, tra gli ingredienti che compongono la pizza definita migliore del mondo dal critico Daniel Young e le parole in libertà.
“Vedi queste due zappe incrociate? – E queste piantina, lo sai cos’è?” Sono i due simboli che Franco Pepe ha messo all’ingresso del suo locale: una piante di ceci e gli attrezzi che gli hanno regalato loro, i contadini dell’Alto Casertano che questo artigiano della pizza ha cercato, valorizzato, coinvolto nel suo Progetto.
Mimmo
“Erano rimasti incolti per un’intera generazione i terreni della mia famiglia. – racconta Mimmo Barbiero – I miei genitori non ne volevano più sapere: sia io che mio fratello ci eravamo laureati, il nostro futuro (nei loro desideri) doveva essere un altro. Il ricordo di quando mio nonno usciva di nascosto con il trattore per non portarmi nei campi, la mia vera e unica passione da bambino, rimaneva però dentro di me”.
Fu l’incontro con Vincenzo Coppola prima – vero trait d’union di queste storie – e con Franco Pepe poi, ma soprattutto il ritrovamento, in una vecchia madia, di molte varietà di semi, a spingere per il ritorno alla terra.
“Melone di Giuliana: dolce. Mele di ottobre: appena appena aspre, ma buone. Fagiolo curniciello: messo nella passata. Mio nonno li selezionava così, a fine pasto li metteva da parte, con brevi indicazioni. – racconta Mimmo – Pochi di quei semi erano utilizzabili ma io e mio fratello Lino siamo partiti da lì, da quella straordinaria operazione di recupero, combaciante con il progetto di Franco, per ritornare a dar nuova vita alle nostre terre e a noi”.
Mimmo oggi conduce La Sbecciatrice, la sua piccola azienda agricola, dove ha recuperato produzioni di ceci, di fagioli a curniciello e del pomodoro riccio – “I suoi semi li ho avuti in dono da un contadino custode” precisa Mimmo – senza il quale non esisterebbe la Margherita sbagliata, pizza-capolavoro di Franco Pepe.
Antonietta
“Non sapevo niente di cipolle ma ero stanca di gestire un negozio di abbigliamento in paese e una sera dissi a mio marito: vado a coltivare cipolle!” sorride Antonietta Melillo mentre racconta al nostro tavolo come tutto ha avuto inizio. Lei viene da una terra di cipollari, Alife, dove però quel mestiere sono rimasti in pochi a farlo.
“Perché no, fu la sua risposta, abbiamo un pezzetto di terra di nostra proprietà. Ma come fare? Sempre lui fece da tramite con una signora di 83 anni: Dì a tua moglie di passare a trovarmi”.
Questa le fa trovare una bacinella con dei semi sul fondo. “Ora però devi imparare a pulirli, poi a nsertare le cipolle (intrecciarle). – ricorda Antonietta – Torna presto da me che ti insegno, mi disse. Fallo presto, fu la sua preghiera. Tornai, mi insegnò, e morì dopo pochi mesi. Volle trasferirmi il valore della memoria e io iniziai a produrre, nel nostro piccolo campo”.
Antonietta non aveva molte altre nozioni, oltre a quelle ricevute in dono, e iniziò a chiedere: agli anziani come fare, ai giovani di non andar via, di tornare nei campi. La sua ostinazione ha vinto: oggi la cipolla alifana è diventata, grazie a lei, presidio Slow Food.
Fu l’incontro con Franco Pepe a spronarla: “Una sera mi fermai a mangiare una pizza da lui, con un’amica. Scelsi ovviamente quella con la cipolla alifana e il maestro, a fine serata, ci confidò della difficoltà a trovare questo ingrediente. Presi il coraggio a quattro mani e mi presentai. Oggi c’è la mia cipolla su quella pizza e quando finisce la fornitura stagionale Franco la toglie dalla carta” racconta con un meritato pizzico d’orgoglio, svelando anche che, insieme all’agronomo Vincenzo, hanno dato vita, nelle terre di Cannavina, alla produzione di un grano antico: l’Autonomia.
Mimmo
C’è un altro Mimmo tra i contadini di Franco Pepe, in questo caso produttore di mozzarelle. Un signore tranquillo, austero, ma di grande sapienza e umanità.
Mimmo La Vecchia ha iniziato giovanissimo “e contro voglia in quegli anni”, confida, a lavorare nel caseificio di famiglia: era il 1974 e da allora quel contro voglia si è trasformato nel suo contrario visto come parla del suo lavoro, delle sue mozzarelle, dei suoi formaggi e della sua terra.
“Dico sempre ai miei figli che, se un domani volessero cambiare filosofia di produzione, e ci potrebbe anche stare perché ognuno deve essere libero nelle proprie scelte, dovranno cambiare anche il nome dell’azienda perché Il Casolare è nato con una visione etica molto precisa a cui tengo oltremisura” sostiene Mimmo.
Siamo convinti che questa è una preoccupazione superflua visto il successo che anni di serio lavoro stanno portando alla famiglia La Vecchia, interamente coinvolta nell’attività aziendale de Il Casolare, a partire dal figlio Benito.
“Con mio figlio, ma anche con tutti gli altri componenti, ci troviamo spesso a condividere i principi attorno a cui siamo cresciuti; quando, ad esempio, la produzione di mozzarella cala, nei mesi invernali, non congeliamo quel latte ma lo utilizziamo per fare altre produzioni, sperimentando come nel caso del Blu di bufala che Franco Pepe mette sulle sue pizze”.
C’è del rigore nelle parole di Mimmo La Vecchia, come deve essere per chi ha la consapevolezza di vivere in un territorio che, fuori dai confini, è purtroppo vittima di generalizzazioni: l’Alto Casertano, vogliamo precisarlo, non è la terra dei fuochi!
Ancora Mimmo
Mimmo deve essere il diminutivo più in uso dell’Alto Casertano se, su quattro contadini, tre lo portano con orgoglio. Il Mimmo di cui parliamo è il titolare di un piacevole agriturismo sulle colline caiatine: Temi di Terra. Ci ha portato da lui il solito Franco Pepe, o meglio è Mimmo Testa che ci è venuto a prendere in pizzeria per farci vedere la sua creatura.
“Facevo tutt’altro nella vita – rivela Mimmo Testa – poi l’incontro con Franco, le chiacchiere attorno al valore dei nostri luoghi, una cuoca speciale come mia mamma e l’esperienza contadina di mio padre, mi hanno fatto capire che la vita è qui, tra queste colline”.
C’è tutto per una splendida sopravvivenza a Temi di Terra: il paesaggio, l’orto, il vigneto e l’uliveto autoctoni, la filiera corta del maialino casertano, la pace.
Sono questi i contadini di Franco Pepe, o meglio sono quelli che abbiamo conosciuto di persona, perché altri fanno parte della sua rete come Manuel Lombardi del Conciato romano e la famiglia Petrazzuoli dell’Olio dei Petra. Persone dal cuore grande, capaci di farti vivere e credere in un mondo onesto, di farti amare questa parte d’Italia che, non per caso, corrisponde a quella Terra di Lavoro che si perde nella notte dei tempi, ma che non ha mai perso la propria identità.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it
La foto di apertura è di Luciano Furia