Trentacinque anni fa comprai, con un contributo di mille lire, un metro quadrato di terra intorno all’aeroporto di Comiso per impedire che diventasse la sede delle testate nucleari della NATO. Un gesto di protesta condiviso da altre migliaia di persone in tutta Italia. Un’azione dimenticata e sepolta nella memoria che mi è tornata in mente quando, pochi giorni fa in occasione di un convegno, mi sono imbattuto nel racconto di una start up nata nel 2010 a Firenze e che ha fatto della condivisione e della sostenibilità la propria ragion d’essere.
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Il garbo… quello non lo si compra, non lo si impara. Credo che semplicemente lo si abbia in dote. Presuppone bontà d’animo il garbo, piedi per terra, reale rispetto per gli altri. Sì, il rispetto, quello che manca sempre di più. Gentili, garbati li si nasce. L’imporsi di esserlo è cosa diversa, molto diversa negli effetti.
La differenza sta nella persistenza, perché solo se è dote naturale rimane, immutata, sempre uguale a sé stessa, ma sta anche nei modi: quando è cortesia vera fa breccia nelle nostre corde, lo percepiamo.
Mi hanno conquistato così i due fratelli Matteo e Gian Luca Cavazzi, per il modo di accogliermi la prima e tutte le volte che negli anni ho deciso di tornare nel loro ristorante, Trattoria Del Voltone, a Castell’Arquato (PC), dove gestiscono la sala, mentre i genitori Giancarlo e Silvana sono in cucina.
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Chissà se la direttiva Bolkestein, che entrerà in vigore dal 2017 in tutti i paesi della Comunità Europea, terrà conto delle storie di anzianità, presenza come presidio dell’artigianalità locale, ruolo prezioso di informazione per i turisti, che gli ambulanti spesso assolvono di fronte al loro banco nelle piazze storiche italiane.
“Ma noi non temiamo questa direttiva, siamo pronti ad adeguarci ad ogni cambiamento purché nel rispetto delle regole e della legalità” mi spiega Roberto Calamai, conosciuto casualmente mentre attraversavo il mercato di San Lorenzo a Firenze.
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Bentivoglio (BO) ospita, da un anno, il luogo per eccellenza dove trovare l’intera declinazione del volersi bene. Il suo nome è BenMiVoglio.
Da non intendere come una forma di egoistico menefreghismo – nel senso di pensare solo a sé stessi – ma come sana e concreta coltivazione di uno stile di vita quotidiano che punti al nostro benessere psicofisico.
Parole grosse! Equilibrio rispetto al quale siamo spesso in bilico. Vorremmo tanto raggiungere questo status, aspiriamo ad esso, tentiamo a nostro modo di avvicinarci ma ci ritroviamo spesso a razzolare male. E a rimanere alla prossima buona intenzione!
Ma intanto quell’equilibrio instabile, quel senso di poco benessere ci pungolano e lanciano campanelli d’allarme che ci fanno dire “devo fare qualcosa, devo cambiare senso di marcia. Devo prendermi cura di me, della mia persona”.
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Di cuochi che girano, occasionalmente, con una biro nel taschino se ne vedono tanti. Di cuochi che nel taschino hanno sempre una biro a quattro colori (ve la ricordate?) ne conosco uno solo, lui: Gianni D’Amato.
Della sua carriera nella ristorazione è stato detto e scritto tantissimo. Della sua naturale vena artistica invece si sa, ma la sua modestia in tal senso è proverbiale: “Faccio il cuoco” mi ha ripetuto ancora in questi giorni, mentre rimanevo affascinato dalla sua abilità di coniugare arte, design e funzionalità. Questo si, esercizio che riesce a pochi.
Non è un designer Gianni D’Amato, ma è un punto di riferimento per chi insegue il mestiere di food designer. Il perché è spiegato dai fatti.
L’ultimo, in ordine di tempo, è il tagliere per il Parmigiano Reggiano: “Quando l’ho visto – confida Gianni – sono rimasto folgorato. Era l’idea che cercavo da tempo per presentare il Parmigiano Reggiano, nelle sue diverse versioni che vanno dall’Appennino al Po. E c’erano pure i laghetti in cui versare le gocce di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia”.
L’approccio al mondo artistico di Laura Cadelo Bertrand è iniziato a 8 anni, quando il papà Silvio, poliedrico maestro d’arte di un certo calibro, la inserì nella compagnia teatrale da lui stesso fondata: il Teatro dell’Utopia. Laura si rivede ancora nelle vesti della zanzara, con le grinze rosse sul culetto, mentre interpretava quella particina insidiosa, ben lontana dalle rosee visioni di una bimba di quell’età, che alla fine però l’ha divertita, si è rivelata per lei liberatoria.
Ancora non poteva immaginare che quel debutto sulla scena avrebbe delineato nitidamente la sua strada;
complice quel suo crescere dentro l’arte, sia per gli stimoli paterni nelle più diverse discipline -dalla pittura all’acrobazia- sia per la frequentazione degli amici dei genitori, pressoché tutti artisti.
Tutto questo rese naturale l’accesso alla prestigiosa scuola parigina di Marcel Marceau, una fucina delle più diverse discipline, dal mimo alla danza, dalla scherma alle acrobazie teatrali, funzionali ad un approccio completo al teatro visivo. E’ qui che Laura affina quella sensibilità artistica che parte dallo sviscerare l’essenza di ciò che deve rappresentare con la sola forza della gestualità, il mimo appunto.
Ma nella sua evoluzione – me lo ha raccontato lei stessa – è la scultura a prendere il sopravvento sul teatro, culminato nella forma sperimentale, che l’aveva vista mettersi alla prova anche come scenografa e coreografa.
“Leggo un libro al giorno”, per 365 giorni, per i 42 anni di apertura della libreria, fanno 15.330 libri, tanti quanti ne contengono le tre stanze all’ingresso del maestoso Palazzo Ducale di Colorno (PR), dove Alberto Panciroli ogni giorno apre la sua libreria.
Ecco perché mi fido ogni volta che voglio davvero perdermi nella lettura di un libro: vado da lui ed è come se mi aspettasse.
Nei giorni scorsi questa voglia di un libro straordinario si è fatta impellente e lui era lì, sulla sua sedia dietro alla vecchia scrivania colma di pubblicazioni.
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Non conoscevo Lino Maga fino a pochi giorni fa quando un’amica mi raccontò di lui e della presentazione del libro della sua vita, scritto da Valerio Bergamini, organizzata da Slow Food a Piacenza.
“Per averlo a quella presentazione – mi raccontò – sono andata a casa sua, a Broni, e lui, sfogliando un’agendina densa di parole scritte, mi disse che l’8 marzo non poteva, il 9 neppure, il 10 si perché avrebbe finito i travasi con la luna nuova”.
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L’ho ascoltato per la prima volta ad un comizio agrario in tema di “Memorie di Biodiversità”: una staffetta di interventi che ha visto alternarsi un enogastronomo, un accademico e lui, contadino vecchio stampo.
Schiacciante per semplicità e saggezza ha infervorato, più di tutti, gli animi dei presenti, con il suo linguaggio chiaro e la purezza della sua visione.
Guerrino Fanchi, una vita spesa per buona parte all’estero come meccanico, giunto all’età della pensione circa 20 anni fa, ha maturato di tornare a vivere nella casa che gli ha dato i natali, nel caratteristico borgo di Cà Fanchi, frazione di Pennabilli.
Il cambiamento è una condizione di vita di noi esseri umani. È un irrinunciabile motivo di crescita. Anche volendolo non riusciamo a rimanere vincolati alle stesse situazioni, che magari ci aggradano pure. Ci sono quindi i cambiamenti obbligati, in cui veniamo presi per i capelli da mutate condizioni indipendenti da noi; ci sono poi i cambiamenti in cui noi mutiamo delle condizioni per dare una sferzata di nuovo, diverso, alla nostra vita, come il cambio di casa, del posto di lavoro… E in casi più rari ci sono gli eclatanti cambiamenti radicali di vita, quelli in cui con un’apparentemente folle e al contempo lucidissima presa di posizione chiudiamo parentesi sul nostro “qui ed ora” per diventare, da domani, completamente altro. O meglio finalmente altro.
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