Non conoscevo Lino Maga fino a pochi giorni fa quando un’amica mi raccontò di lui e della presentazione del libro della sua vita, scritto da Valerio Bergamini, organizzata da Slow Food a Piacenza.
“Per averlo a quella presentazione – mi raccontò – sono andata a casa sua, a Broni, e lui, sfogliando un’agendina densa di parole scritte, mi disse che l’8 marzo non poteva, il 9 neppure, il 10 si perché avrebbe finito i travasi con la luna nuova”.
A quel punto ho voluto leggere il libro di quest’uomo che segue la luna e, lo confesso, fino a quel momento sapevo solo che il Barbacarlo era un vino dell’Oltrepo Pavese. Pagina dopo pagina, divorate in un paio di giorni, ora so che quel vino ha un nome e un cognome: quello di Lino Maga che ne ha difeso l’identità contro tutto e contro tutti.
Ma, a parte questo che è stato forse lo scopo della sua vita, so dalle parole di Lino Maga, ben raccolte dall’autore, che ad esempio “la vendemmia la natura te la esprime quando svolazzano le foglie per le strade. Ti dà il segnale giusto per la raccolta”.
La natura è tutto per quest’uomo, è stata la scansione delle sue giornate, delle sue scelte, dei suoi umori. Ora lui e il figlio Giuseppe, hanno solo otto ettari di vigna dei 18 ancora iscritti nei registri, “perché il resto è diventato bosco”. Lo ha deciso la natura!
Le pagine del libro sono un lungo racconto, praticamente autobiografico, che comincia a sei anni, con la sua prima vendemmia dove “la terra la si curava come si deve. Anzi, la si serviva come si deve… Ci sono stati anni in cui abbiamo vendemmiato con la neve. Le uve dovevano lottare contro il gelo e proprio da questa lotta a volte il sapore del vino diventava più forte. Proprio come le sofferenze e le prove che ti riserva la vita, che ti fanno diventare più forte”, racconta Lino.
E la sua vita di prove ne ha dovute affrontare molte, troppe per un uomo solo: la morte di un figlio quindicenne, la separazione dalla moglie, la morte del padre investito da un treno merci, i ladri che hanno rubato tutto, le battaglie infinite contro la burocrazia e i signori del vino per difendere il suo Barbacarlo.
Questo nome curioso, infatti, ha un origine molto precisa: nasce nella Valle Maga, di cui la famiglia di Lino Maga è proprietaria fin dal Settecento e Carlo, uno dei proprietari, alla sua morte nel 1897 donò ai nipoti la collina Porrei, che vuol dire “luogo di casa”. Una collina che radunava tutti i vigneti e che i nipoti di Carlo chiamarono “ collina di zio Carlo” e, in dialetto pavese zio si diceva barba. Da qui il nome di Barbacarlo e il motivo per cui Lino Maga ha dedicato la sua vita a difenderne la proprietà e il titolo, contro tutto e tutti: disciplinari assurdi, cavilli burocratici, commissioni di degustazione come quella che gli bocciò l’annata 2003. Quella che lui riteneva la migliore e che Gino Veronelli premiò con l’assegnazione di uno dei suoi Soli, il simbolo di eccellenza delle sue guide.
Il libro termina con queste parole: “La mia vita è un calvario, ma non ho mai disperato. I disperati sono figli del diavolo. Ho sempre amato tutti, anche i miei nemici. Ho sopportato tante persecuzioni e ne sono sempre uscito a testa alta”.
Devo conoscere quest’uomo; è stato il mio primo pensiero all’ultima pagina del libro. Non per sentirmi raccontare da lui una storia e una vita così ben descritte da Valerio Bergamini. Ma so che dovevo conoscerlo.
Arrivato a Broni, in via Mazzini 50, l’arco di un portone si affaccia in un cortile dove, al sole, era seduto proprio lui. Non osavo disturbare il suo riposo, ma fu l’abbaiare del cane a svegliarlo.
“Ho letto il suo libro e passavo di qui…”
“Mi date troppa importanza” ha risposto Lino, con una voce lenta e sottile, mentre mi apriva la porta della sala che mi sembrava di conoscere da sempre.
Non sorride Lino Maga, non lo ha fatto neppure una volta, nemmeno quando gli ho chiesto se mi raccontava il suo ricordo più bello.
“Gli anni della miseria, quando c’erano ancora i miei genitori. Quando ogni volta si doveva lottare ad ogni vendemmia”, quelli sono i suoi ricordi più belli. Mentre lo afferma penso a quanta fatica ha attraversato Lino Maga, ma anche quanta vita trascorsa nel rispetto, delle persone, della natura, della terra.
Nelle stanze, disseminate un po’ dappertutto, ci sono le frasi scritte, che raccontano il suo pensiero: del valore dell’agricoltura, del rispetto profondo della natura.
“Le ho scritte in inverno, quando sei costretto a stare fermo”. Ci sono parole di Giuan Brera e di Gino Veronelli, i suoi grandi amici, “I miei fratelli. Mi mancano, mi hanno sempre difeso. Mola no, mi diceva Giuan. E io non mollavo, neppure contro l’evidenza di una battaglia impossibile. Ma era il mio vino, è il mio vino. Quello che la natura mi ha dato. Non potevo cedere perché l’eccellenza di un vino la dà la terra e non le carte”.
Non abbiamo parlato molto. Forse non serviva, era sufficiente stare lì, insieme, davanti al bicchiere di Barbacarlo.
“Per trasmettere esperienza non c’è bisogno di parlare” sostiene Lino. Ha ragione, basta viverla.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it