Correva la fine degli anni ’90, quando mi sono affacciata ad un mondo nuovo: quello degli amori voluti. Mi rivedo in quelle estati impegnata con il lavoro stagionale in una locale fabbrica di trasformazione del pomodoro, nel ruolo di porta-campioni. A cadenza oraria facevo i miei prelievi di prodotto e li portavo ad analizzare in uno laboratorio limitrofo.
Ricordo la mia conquista sindacale della bicicletta col cestino, per muovermi più agevolmente entro i tempi. Non ho tardato a diventare porta-bigliettini d’amore (è nata lì la storia di due colleghi che si sono poi sposati) e anche porta-leccornie in quella notte – una sola in tutta la stagione – in cui portavo torta e biscotti per tutti. Quella mansione indubbiamente favoriva le relazioni con i colleghi e, quando possibile, quella battuta in più. E questo mi faceva stare bene!
Ricordo nitidamente dell’approccio con una delle colleghe del laboratorio.
Saputo che era veterinaria le ho confidato il mio cruccio: “Ho una coppia di tartarughe da terra, Demon Ugo e Olivia, che si accoppia regolarmente, ma non ho ancora avuto la gioia di vedere venire alla luce qualche piccolo. Che peccato! Non mi dò pace! Una vita in potenza non riesce a giungere a compimento!”
Lei mi spiega che l’ostacolo sta nel nostro clima: “Non ci sono le giuste condizioni di calore e umidità per lo sviluppo di questi esserini, però un modo ci sarebbe, ma comunque non è una garanzia, anzi”. Incalzo: “se c’è anche qualche probabilità di riuscita io vorrei tentare lo stesso. Di cosa si tratta?”
“Si tratta – prosegue – di creare un incubatrice artigianale. Il concetto è quello del bagnomaria. Un contenitore con l’acqua riscaldata da un termostato da acquario, in cui immergere altro contenitore più piccolo, con uova incastonate nel terriccio. Un coperchio che sovrasti il tutto, che favorisca il generarsi dell’umidità.”
Non le lascio quasi il tempo di finire di parlare: “Io ci sto, dove devo andare per attrezzarmi?”
Lei mi risponde: “In un negozio di animali un po’ fornito. Ti accompagno io, andiamo insieme”.
Fatti gli acquisti e ricevute le dovute raccomandazioni: “Fai attenzione quando trasferisci le uova a non girarle! Lascia scostato il coperchio che non si crei troppa umidità. Tieni presente che più la temperatura è alta e più favorisce la nascita di femmine. Ma soprattutto sappi che i veri allevatori sono matematici nel regolare queste condizioni. Per questo non devi farti illusioni. È difficile, molto difficile!”
Io mi sono calata in questa dimensione semplicemente credendoci. Quando andavo in cantina ad aggiungere acqua alla vaschetta percepivo che lì dentro c’era vita.
Dopo circa tre mesi di incubazione mi affaccio in cantina e vedo a distanza una sorta di grumetto sulla superficie liscia di terriccio. Mi avvicino e mi trovo un meraviglioso cameo d’un tartarughino perfetto con il guscetto sulla testa, che mi guarda con due occhietti un po’ stupiti.
Inizio a urlare, come impazzita. Salgo in casa e trovo mia nonna seduta, pallida, convinta che fossi caduta per le scale!
A quel punto inizia il mio monitoraggio. Ci sono quattro altri fratellini in coda. E lì la commozione, fino alle lacrime, di vedere nell’arco della giornata la vita sbocciare come un fiore, dalla terra. L’uovo che “sale”, il piccino che lo rompe con un uncino “il becco dell’uovo” e che scorge piano la testolina.
Da allora ho un’immagine chiara, figurata, circa il miracolo della vita: esattamente la nascita di un tartarughino!
Poi il mio ritorno alla realtà. “E adesso cosa faccio? Dove metto questi esserini che non stanno neanche in equilibrio per via di una sacca sotto la pancina?”
Attivo mio fratello nella ricerca via internet di qualche appassionato/allevatore e chiamo, agitata, i miei genitori in vacanza in Austria, lanciando il mio grido di allarme.
Il risultato è che i miei sono rientrati anticipatamente a casa e mio fratello Stefano mi ha procurato un contatto con un esperto tartamante, Nino Spotti, che da allora non solo è entrato ma ha arricchito inesorabilmente le nostre vite, la mia e quella dei miei genitori che, grazie alla loro presenza fattiva, hanno reso possibile questa esperienza. Mi soffermo a volte a pensarci: il loro è stato un atto, uno dei tanti atti, d’amore nei miei confronti.
Quando ho conosciuto Nino mi sono sentita sollevata, tanto è stato concreto e didattico il suo aiuto. Ho avvertito subito la profonda conoscenza in materia di quest’uomo che parlava di questi esserini come di figli, me la trasmetteva in modo pragmatico e con una naturalezza da far sembrare tutto semplice. A partire dalla complessa legislazione, dal momento che risultando la specie protetta, avrei dovuto comunicare alla Forestale tutto ciò che si sarebbe generato dalla mia coppia, regolarmente denunciata tempo prima.
Benvenuta nel mondo delle tartarughe, o meglio delle testuggini, mi sono detta! Che poi quelle da terra si chiamano testuggini.
Quell’uomo della bassa parmense era diventato, negli anni, un punto di riferimento per tanti. Dai semplici appassionati in cerca di corrette informazioni, alla stessa Università degli Studi che spesso gli faceva visita per studiare i suoi esemplari, fino alla convocazione nazionale, ad opera di un gruppo di tartamanti intenzionati a fare cultura, per dar vita ad un’associazione. Da lì a poco Nino è tra i 23 espositori di Tartarughe Beach, a Cesenatico.
In quest’uomo ho sempre trovato sapere e testa. Idee e ingegno. Nino non ha mai acquisito nulla per assunto, spiegando le sue posizioni. Ha detto sì all’esposizione degli esemplari a scopo didattico informativo, ma ha detto no alle teche, le vasche di vetro in cui esporli, perché sono ambienti innaturali che producono sofferenza.
Da lì la formulazione del modulo Natura nella natura, per cui le location delle mostre sono divenute giardini, parchi, campi in cui delimitare spazi perché la tartaruga possa rimanere nel suo habitat, sul manto erboso. E poi la creazione di percorsi fotografici e messaggi e il laboratorio creativo per i bambini, a cui fornire corrette informazioni. Anche i progetti con la scuola non sono mancati, grazie al suo ricco allevamento di tutte le specie di testuggini mediterranei e palustri.
Ma che retroterra culturale e di vissuto ci deve essere dietro una persona che sta dedicando con tanto trasporto e passione il suo tempo alle tartarughe e che proprio nell’accudirle, nello stare in mezzo a loro dice di trovare la serenità?
Mi ha raccontato Nino che questa passione nasce all’età di 10 anni, quando iniziò a mettersi via i primi soldini aiutando il papà straser, che girava per le case a raccogliere pelli di coniglio e di talpa che avrebbe portato in conceria, destinati a diventare colli per cappotti delle signore meno abbienti, e anche stracci e ferro. La domenica poi andava a trattare nei mercati e lì c’era chi vendeva conigli, galline e anche tartarughe.
E da lì, ogni volta che le sue tasche glielo permettevano, si concedeva un nuovo esemplare di tartaruga. Curioso il suo criterio di selezione: senza sapere andava a selezionare soggetti con caratteristiche diverse che poi si son rivelati maschi e femmine, adeguatamente accoppiati specie per specie.
Nino non mi ha aperto non solo un mondo, ma il suo mondo. Complice quel suo carattere solare, passionale, esplosivo… a tratti esilarante per simpatia.
I suoi riferimenti, dal veterinario specializzato ad altri amici tartamanti – e penso a Luca, Andrea, Lara, Elena – diventati anche miei amici! In tutti loro ho sempre trovato quel guizzo, quel modo colorito di esperire la vita che mi ha fatto vivere esperienze difficili da dimenticare, nella condivisione di una comune pulsante passione e tanta spensieratezza. Quest’ultima serbata in dote proprio da queste curiose creature.
Ho incontrato recentemente Luca Colombini, compagno di avventura quanto a tartarughe e ora alle prese con un altro personaggio, un verde pennuto tutto personalità e per nulla da sottovalutare: Spuddy.
Luca è una persona con un bel senso di responsabilità e anche la sua scelta di animali particolari, come dice lui “complessi”, non è mai stata affrontata con leggerezza: ha letto tanti libri, da grande curioso quale è. Lui vuole sapere. E si documenta.
“Il pappagallo è un mondo”, sostiene, alla faccia dell’immaginario che vede questo simpatico volatile come una sorta di peluche animato, che parla a comando e che fa così simpatia e divertimento da diventare persino soggetto di barzellette!
Luca ha preso a frequentare chi la scelta del pappagallo l’aveva già fatta. Il calarcisi dentro, l’entrare in contatto col pennuto dei suoi conoscenti è stato talmente naturale da rendere definitiva la sua scelta: “Mi sono fatto coraggio e ho deciso di entrare in questa esperienza senza attendere altri anni”.
Mi racconta di come si sia preparato tecnicamente a questo avvento, trovando in Lara, la sua compagnia, un efficace apporto educativo, dettato semplicemente dal suo istinto materno.
Spuddy è un pappagallo di specie Ecletto, originario della Nuova Guinea.
“Ha cinque anni – mi racconta Luca – ed è un bambino piccolissimo, iperattivo e incapace di stare da solo. Si è guadagnato spazio in due famiglie. Al pomeriggio lo porto a mia suocera. Le sta addosso tutto il tempo, sono fatti l’uno per l’altro. Verso sera però sta più volentieri con me, come si sentisse più protetto. Guardiamo la tv insieme, sul divano. Lui mi si accovaccia tra la spalla e il collo. È adorabile in quei momenti.”
È molto espressivo Spuddy, dagli occhi capisci tanto prim’ancora che si esprima con le parole. Conosce una sessantina di vocaboli, ogni tanto ne inserisce uno nuovo. Se lo chiami ti risponde “Eh?”. Poi gli prendono le fisse: “È una settimana che dice ‘e alo(r)a!’- mi confida Luca. Ma mixa anche le parole fra loro, fa le sue composizioni! È tutt’altro che un animale scontato, anzi ha un potenziale incredibile. Tutti i giorni ti sorprende e ti ripaga. Ogni mattino si sveglia in modo diverso e alterna i suoi momenti di serenità in cui si liscia le penne e dice cose in leggerezza a quelli in cui è più lunatico, come quando cambia la muta per esempio. Sensibile di una sensibilità che rasenta l’empatia: piange se stai piangendo e, se stai litigando, cerca di stemperare la tensione facendo dei discorsi sottovoce”.
Il pepperino è abituato a stare libero in casa, la gabbietta aperta è una base di appoggio per lui per giocare o dormire, e il suo spazio preferito è la cucina. Ingordo com’è starebbe sempre lì, luogo che associa al cibo e dove chiederebbe continuamente cibo.
“Sa di buono Spaddy” . Luca mi svela che, a seconda di quello che mangia, il piumaggio prende una profumazione diversa, ma sempre piacevole. Se mangia crocchette sa di biscotto e quel profumo crea una sorta di assuefazione.
“Anche per questo non riesco a fare a meno di lui. – ammette Luca candidamente – La scelta di Spuddy è per sempre. In una nuova casa con nuove abitudini, ci morirebbe. E non riesco a immaginarmi senza di lui. Al massimo riesco ad andare in vacanza una settimana, ma poi devo ritrovarlo”.
Chiudo questa mia carrellata che sento dovuta a tutti quegli amori voluti che cambiano inevitabilmente le nostre vite e per cui ci ritroviamo a fare affermazioni più forti di quelle che rivolgeremmo ai nostri amati, e a compiere azioni improbabili, non ragionate, come d’istinto.
Non posso dimenticare lo slancio di mia madre nel bel mezzo dell’esondazione di un corso d’acqua che ha invaso anche la nostra casa nostra. Ecco, in un metro d’acqua è corsa a cercare di mettere le tartarughe in salvo. E ci è riuscita.
Nino ha fatto di più: mentre la sua casa stava bruciando e tutti fuori ad attendere i pompieri, si è addentrato fra le fiamme che stavano divorando il giardino, estraendo le tartarughe una a una e ustionandosi entrambe le braccia.
Gli amori voluti giocano anche questi scherzi! E non c’è niente da fare: si getta avanti il cuore!
Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it