Ci sono mestieri e pause che la tecnologia digitale, giorno dopo giorno, trasforma. Uno di questi è il corriere delle fotografie. Vi ricordate il tempo in cui si portava (solitamente di lunedì) il rullino al fotografo di paese o di quartiere, per aspettare, in una pausa trepidante, la consegna delle fotografie o delle diapositive?
Il fotografo prendeva il rullino, lo metteva in una busta con il vostro nome scritto con il pennarello, staccava un talloncino che vi consegnava, e vi comunicava il giorno del ritiro; all’inizio si doveva aspettare quindici lunghi giorni; poi una settimana, poi tre giorni; solo alla fine degli anni Ottanta la pausa trepidante si ridusse alle 24 ore di attesa. Era il preludio all’avvento del digitale, dopo un lungo decennio di crisi della fotografia, dei laboratori di stampa e del mestiere del corriere delle fotografie.
In quegli anni ho conosciuto uno di quei corrieri, arrivava nel mio studio fotografico intorno alle 10 del mattino, a volte giusto il tempo di consegnare e ritirare, altre volte il tempo di un caffè, oppure lo scambio di informazioni tecniche o l’affrontare una discussione per una mancata consegna. Pillole, che negli anni sono diventate stima e amicizia.
Faceva trecento chilometri al giorno, ogni giorno, per soddisfare quelle pause trepidanti di chi aspettava le fotografie: di una gita, della scuola, di lavoro da allegare ad un progetto, ad una richiesta, per un passaporto che consentiva di emigrare o di vivere una vacanza esotica.
Portava sulle strade un pezzo di vita delle persone quel corriere e chissà, mi chiedevo spesso senza mai domandarglielo, se amava o odiava la fotografia per cui doveva fare trecento chilometri al giorno.
Poi arrivò il digitale, molti studi fotografici di paese o di quartiere chiusero; le foto iniziarono ad essere scattate con i primi telefoni cellulari, in maniera sempre più compulsiva: immagini colte al volo, emozioni consumate in un attimo, campi visivi che si restringevano sempre di più fino al selfie che porta le persone a occupare tutto lo spazio dell’inquadratura, con buona pace del monumento, della piazza o del paesaggio che occupa un angolino di quella foto.
Il ricordo, prima affidato agli album fotografici o a quei piccoli raccoglitori di plastica con il nome dello studio fotografico che li omaggiava, o ancora ai caricatori di diapositive, ora è racchiuso nei megabyte di un cellulare, per una rapida scorsa quando si viaggia in treno o si è in fila per qualche ufficio. La pausa trepidante non c’è più. L’emozione di una foto stampata, da tenere in mano o da guardare, appesa ad un pannello neppure. E il corriere delle fotografie, dopo aver raggiunto la meritata pensione, che fine ha fatto?
L’ho scoperto ricevendo un invito: le 100 fotografie di Doriano Donati, mostra a Villa Pallavicino, Busseto (PR).
“Da quando ho smesso di consegnare le foto, ho iniziato a farle. Ne ho viste a migliaia, scattate da altri, in tutti quegli anni. Ho assaggiato il piacere che poteva dare una bella fotografia, ho accumulato le esperienze di decine di fotografi e le ho fatte diventare la mia passione” mi racconta Doriano, mentre visito la sua mostra.
Cento foto, stampate su pannelli di medie dimensioni, attaccate ad una lunga griglia che si snodava nelle stanze della villa ottocentesca, in occasione di OrtoColto. Ognuna un racconto, un pezzo della sua amatissima terra, la bassa parmense, un tramonto, una gita a Parigi, un attimo della sua vita quotidiana, che Doriano ha semplicemente voluto condividere, non sui social, ma nel modo più tradizionale: quello di una mostra a cui invitare gli amici, i visitatori di OrtoColto, oppure i semplici curiosi che sono capitati per caso. E il libro degli ospiti su cui raccogliere il saluto o la frase che lui potrà rileggersi, ogni volta che ne sentirà il desiderio. Non so se quella mostra è ancora aperta, ma ho voluto quelle foto, per condividerle a mia volta con chi non ha potuto visitarla o con chi lo ha fatto e si è portato nel cuore una o più immagini tra quelle cento. Una per una le foto appese alla griglia sono riuscite a meravigliarmi, come se fosse la prima volta che guardo un mare o un territorio (che ben conosco) con le sue storie e le sue persone.
Non ci sono filtri, né correzioni o alterazioni nelle foto di Doriano Donati. C’è una tecnica solida e tradizionale che lui utilizza per rappresentare i luoghi e le emozioni, nella straordinaria semplicità del quotidiano di noi tutti.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it