L’artigianato ha talmente tante modalità espressive da risultare inesauribile e sempre nuovo o rinnovato.
Affascina questa poliedrica manifestazione della fantasia, che si fa spesso trovare in bella mostra, nelle sue forme più originali, proprio sui banchi dei mercatini, senza tanti fronzoli.
Eppure quel pezzo ti balza all’occhio, ti rapisce e cominci a mirartelo e rimirartelo, in maniera affascinata. Ne percepisci subito la qualità, il valore: pezzo unico, la cui unicità è data spesso da qualche irregolarità che diviene nota caratteristica.
E poi decidi di acquistarlo e lì accade che tu rimanga sorpresa dalla cura con cui quell’artigiano ti impacchetta il pezzo, dall’ulteriore materiale che utilizza, dal tempo che gli dedica.
E ti chiedi, stranita, se quello che stai spendendo giustifichi tutto questo. Incredula, poco abituata a questa gratuità. Nella primavera scorsa sono stata in visita a Fa’ la cosa giusta a Milano e a una certa distanza mi è balzato agli occhi un pannello di orecchini interessanti, mi sono avvicinata e mi sono ritrovata dentro ad un mondo variegato di ceramiche.
Quello stile, quel gusto, quei colori: tutto era di mio gradimento. Anche la freschezza di Giuliana, la giovane ceramista, che mi ha accolto rispondendo alla mia curiosità in modo lieve e paziente.
Mentre parlavamo, Riccardo, il suo compagno, era intento in un laboratorio interattivo con alcuni bimbi sopra una bicicletta rielaborata in tornio. L’ha pensata, prendendo spunto dall’arrotino ambulante, per coinvolgere direttamente i piccoli nella creazione dell’oggetto. A turno infatti li fa accomodare su un sedile della bici con vista sul tornio, che lui attiva pedalando, in modo che anche loro possano mettere le mani in pasta.
Discorrendo con Giuliana e Riccardo si delineano, da subito, due personalità ben distinte. Li accomuna una passione così grande per la ceramica da aver deciso di dedicarci tutta la loro vita, organizzandola in funzione di questo, ma diverso è il loro approccio alla materia, si sono specializzati in linee ben precise di oggetti che li contraddistinguono.
Recentemente sono andata a trovarli direttamente presso la loro casa-laboratorio, a Otrona San Mamette, in provincia di Como, perché si raccontino e l’ambiente mi racconti.
“Quando ci siamo conosciuti cinque anni fa, nell’area ristoro riservata agli artisti di Artigianato vivo di Cison di Valmarino, uno storico ritrovo di artigiani nel periodo ferragostano, non sapevamo di svolgere lo stesso mestiere. Parlando – mi racconta Giuliana- abbiamo avvertito di avere affinità”. Solamente quando Riccardo è andata a trovarla al suo banco, l’ha scoperta collega! Il destino li ha fatti incontrare, con i bagagli di vita e lavoro che entrambi avevano maturato in luoghi e modalità così diverse.
Riccardo Ferri, biologo per una grande multinazionale in quel di Milano, è stato attratto da un volantino che pubblicizzava un corso di ceramica. Di quel mondo ha finito per innamorarsi e quell’iniziale passione ha preso il sopravvento come lavoro, scelta di vita: “Ho imparato a usare il tornio e la mia scelta si è orientata sulla ceramica da cucina, le pentole storiche in particolare, come la fiasca, il fornetto Versilia per il pane o la ciambella sulla fiamma, la pentola per le caldarroste”. Tutto realizzato in terra rossa, chiamata terra da fuoco. I pezzi sono perlopiù in color cotto senza l’aggiunta di altri colori.
Mentre chiacchieriamo Riccardo sta lavorando con il tornio, alle prese con una ciotola. Lo fa con una naturalezza che sembra la cosa più facile del mondo, in realtà è un esercizio di grande coordinazione che richiede allenamento, mi spiega Giuliana mentre lo osserviamo insieme, e mi racconta un altro pezzo della storia, la sua, quella che a distanza correva parallela rispetto a Riccardo, ancora sconosciuto.
In quegli anni nella bella Ferrara lei, Giuliana Zampini, dopo aver intrapreso studi artistici, ha seguito la sua vocazione per la plasticità della materia, specializzandosi alla scuola di ceramica di Faenza.
“Da lì ho – racconta Giuliana – ben presto iniziato un intenso lavoro di sperimentazione sia sull’impasto da utilizzare sia sui colori, che mi ha portato a individuare la mia linea di oggetti, componenti decorativi per la persona e la sua casa, con la caratteristica dell’imprevedibilità del risultato. Il pezzo lo posso gestire fino a un certo punto: il resto è una sorpresa che scopro dopo la cottura”. Questo perché Giuliana ha scelto di utilizzare un impasto semi-refrattario bianco e la tecnica degli ossidi come colori (vedi raku), su cui incidono diverse variabili.
In questo gli è suonato come un monito quanto diceva il suo professore a scuola “ il ceramista più bravo è come il giocatore d’azzardo”.
Aveva aperto un piccolo /laboratorio bottega a Ferrara, Giuliana. Era una bomboniera, un pullulare di colori in cui svettavano il celeste turchese e le tecniche di lavorazione ispirate ai Maya. È la linea da lei elaborata, che ha chiamato Amir… e ancora oggi l’accompagna.
Poi, quattro anni fa, il ritrovo degli artigiani a Cison di Valmarino ha avvicinato e unito le vite di Riccardo e Giuliana, predisponendo per loro un’ulteriore crescita umana e professionale a Otrona S.Mamette. Insieme. Le sorprese della vita, dietro l’angolo, come si dice.
Oggi li osservo sereni, di quella serenità tipica di chi ha trovato la propria strada, mentre si muovono affaccendati nel loro laboratorio, con la presenza rassicurante del loro cane Igor, ormai parte del loro equilibrio.
Non due anime fuse fra loro ma due identità, con caratteristiche ben distinte, caratterialmente e professionalmente che ogni giorno diventano più ricche per il reciproco apporto di idee, per certe collaborazioni, ma rimanendo due. Terra rossa e impasto bianco, no colore e gioco di colore contraddistinguono l’uno e l’altro inesorabilmente.
Le loro ferie le trascorreranno lavorando nel luogo che li ha fatti incontrare e che quest’anno attende una loro opera: a quattro mani stanno lavorando a Itai Doshin, l’opera che consacrerà la loro unità nella diversità, come bene esprime questo concetto buddista. Un’installazione con un pezzo di terra rossa e uno di impasto bianco: un pezzo di Riccardo e uno di Giuliana e così via.
“La vera soddisfazione di un artigiano è il sapere che le proprie cose piacciono. Non diventeremo mai ricchi”, quest’affermazione improvvisa di Riccardo, con la voce rotta, in un’atmosfera serena che favorisce il fluire di riflessioni spontanee, è quanto di più caro porto con me. Mi ha restituito la certezza di essere di fronte a una pasta d’uomo. E chi lo accompagna non è meno di lui. La forma mentis è quella. Ecco la bella Italia, eccola qua!
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Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it