Geografia

IL BOSCO CHE SUONA

5 giugno 2017

Ci vogliono almeno centocinquant’anni per ottenere un legno di risonanza dagli abeti rossi del bosco di Paneveggio, un’enorme distesa tra Passo Rolle e la Val di Fiemme: lo chiamano il bosco che suona, ma non pensate di trovarlo così facilmente.
Non ci sono precise indicazioni, ad una signora titolare di un bar lungo la strada che da Predazzo porta a Passo Rolle abbiamo chiesto dov’era questo bosco; si è affacciata sulla porta e con un ampio gesto della mano lo ha indicato, grande, a prima vista irraggiungibile.
Ci sono alcune vie di accesso che si inoltrano in più punti del bosco, cartelli che, poco a poco, diventano semplici segni rossi e bianchi dipinti sui tronchi o sui massi per non far perdere la direzione.

il bosco che suona cartello

Addentrati nel bosco, ad accoglierti sono larici e cembri, oltre agli abeti rossi, e nessun rumore, se non quello dei propri passi. Non puoi fare a meno di pensare ad Antonio Stradivari, quando agli inizi del Settecento, saliva in questi boschi per scegliere i legni migliori per le tavole dei suoi violini; lo immagini, con un po’ di fantasia, mentre faceva rotolare i tronchi per ascoltarne il suono e scegliere i migliori.
Poco, forse nulla, è cambiato da allora in questi boschi dove gli abeti raggiungono altezze vertiginose di oltre 30 metri e vita secolare, a volte anche di trecento anni. Forse lo stesso Stradivari ha visto, appena spuntato, uno degli abeti che ancora vivono in questa foresta.

bosco che suona
“Credimi, perché l’ho sperimentato, tu troverai più nei boschi che nei libri. Alberi e pietre ti insegneranno ciò che tu non puoi imparare da nessun maestro”; questo monito, scritto da Bernardo di Chiaravalle, il frate fondatore dell’ordine dei cistercensi nel 1100, è apposto su un cartello all’inizio del percorso e, incredibilmente, ci cambia lo stato d’animo, l’attenzione verso ciò che ci circonda si fa più acuta.
Non è facile percepire la complessità di un luogo che, a prima vista, sembra una ripetizione all’infinito di sé stesso – alberi e sentieri – mentre, poco alla volta, scopri dettagli che ti raccontano di un posto di pace, di suoni ogni volta diversi, di spazi sorprendenti per la loro maestosità.
La storia lo conferma, il paesaggio pure; in questa terra il legno è vita. Lo testimoniano le tante storie e leggende che attorno ad esso si sono moltiplicate, come quella della Magnifica Comunità della Val di Fiemme, un’esemplare istituzione di buon governo che si rinnova dal 1111 nella valle dove coesistono tre etnie e tre lingue diverse: italiano, ladino, tedesco.

abeti rossi
Scrive infatti Paolo Rumiz, nel suo libro La leggenda dei monti naviganti, che “il legno dei pianoforti cede dopo mezzo secolo. Invece quello dei liuti – viole, violini e violoncelli – ha il diavolo in corpo. Invecchiando migliora”.
Ma come si riconosce l’albero di risonanza? Una descrizione letta diversi anni fa e mai dimenticata – basta appoggiare la schiena contro gli abeti per scoprire quello di risonanza perché vibra – ci ha affascinato e spinto fin quassù, in ripida salita per un centinaio di metri a piedi in mezzo a migliaia di abeti rossi, dopo una camminata di cinque/sei chilometri nel bosco.

torbiera
Arrivati alla Torbiera, uno dei punti del bosco che suona, dove gli abeti raggiungono altezze vertiginose di oltre 30 metri e vita secolare, a volte anche di trecento anni, abbiamo sentito il silenzio: potente, assoluto, interiore.  Per il tempo che restiamo in questo spazio sentiamo che cresce, insieme al silenzio, una sensazione di rispetto verso questi luoghi.
Nel percorso a ritroso proviamo anche noi ad appoggiare la schiena contro gli abeti, ma ci rendiamo subito conto che bisogna essere grandi esperti, o avere tanta fortuna, per scoprire quali sono gli alberi più adatti alla risonanza, ma poco importa; la musica risuona dentro, mentre si cammina in questo bosco. Lo fa da secoli e non c’è motivo per cui non possa continuare ad esercitare questa magia. A maggior ragione adesso che l’estensione del bosco è triplicata negli ultimi duecento anni, da quando lo sfruttamento di questi tronchi cessò di servire ai cantieri navali della laguna di Venezia.
Scendevano dal torrente Travignolo i tronchi destinati all’Arsenale di Venezia: sembra improbabile che questo fiumiciattolo potesse portare a valle i grossi tronchi degli abeti, larghi un metro e più. Lo attraversiamo, camminando sospesi su un ponte tibetano sorretto da grandi funi, e solo in quel momento ci si rende conto della forza che può assumere l’acqua quando scende dall’alto.

ponte tibetano
Avviene con la luna calante, tra ottobre e novembre, l’abbattimento degli abeti di risonanza, in giorni che diventano scuri molto presto, in un bosco di vertiginose altezze; la scelta è dettata dal fatto che l’attività vegetativa è ridotta al minimo, quando nel tronco c’è minor quantità di linfa.
C’è un modo per riconoscere, in questo caso con certezza quasi matematica, gli abeti di risonanza: gli anelli di crescita sono molto sottili e perfettamente concentrici, con una scarsa presenza di nodi. Crescono così almeno dall’inizio del Settecento, quando Antonio Stradivari ne acquistò uno, secondo il testo riportato da Aldo Zorzi in Strenna Trentina, da un contadino “pagandolo un bel gruzzolo di lire veronesi”.
Attualmente è forse impossibile trovare legni così  perfetti – gli abeti di risonanza rappresentano solamente l’1% di tutto il bosco di Paneveggio, un’estensione di 2.700 ettari – e quei pochi vengono utilizzati dai liutai cremonesi, dagli artigiani della fabbrica di casse armoniche di Tesero, nella valle, oppure esportati in Giappone dove esistono veri e propri maestri nella costruzione di casse armoniche.

bosco
A provvedere alla tutela del bosco vigono ancora le leggi e i regolamenti della Magnifica Comunità della Val di Fiemme che, ogni anno, sostiene il dono di un abete rosso a musicisti di fama internazionale che  partecipano al festival “I Suoni delle Dolomiti”, una rassegna di musica in quota in programma ad ogni estate qui e in altre località del Trentino. Sono chiamati a scegliere un abete che resterà per sempre dedicato a loro: Uto Ughi, Mario Brunello e Giovanni Allevi furono i primi a riceverlo, nel 2007.
“In questo bosco che sembra una cattedrale i musicisti passeggiano e scelgono il loro albero. Lì si appone una targa ricordo. Spesso c’è una straordinaria corrispondenza tra il carattere dell’artista e quello dell’albero” confida l’uomo che legge gli alberi, Marcello Mazzucchi, la guida dei musicisti nella scelta del proprio abete di risonanza.
Torniamo a valle, con la scorta di quel silenzio trovato lassù, nel bosco che suona, e con la conferma che è vero: il bosco, le pietre, gli alberi ti insegnano molto, a cominciare dalla consapevolezza che esiste un tempo diverso.

Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it

You Might Also Like