“Questo è uno sciero” mi spiega Giuseppe Argentino, non appena ci incontriamo all’ingresso di quel capolavoro di architettura urbana che è la piazza Regina Margherita di Marzamemi, l’affascinante borgo marinaro della Sicilia sud-orientale, dove fino al secolo scorso si mettevano ad asciugare le grandi reti per la pesca.
E da quella spiegazione dettagliata della barca che usava suo nonno, l’ultimo rais della tonnara, per la pesca dei tonni capisco che questa volta Marzamemi la vedrò con occhi diversi; sempre carichi di bellezza, non potrebbe essere altrimenti qui, ma anche di conoscenza e riconoscenza verso le persone che mi hanno invitato e accolto per un convegno e un concorso gastronomico dedicati al pesce azzurro, di cui a fine giugno si tiene il festival sapientemente organizzato dalla Pro Loco.
Nino Campisi e Giuseppe Argentino, zio e nipote, sono tornati a Marzamemi, dopo aver fatto esperienze professionali sul continente e all’estero; lo hanno fatto perché non si può restare a lungo lontani da questo borgo, dal suo ritmo, dalla sua luce e dal suo mare.
Insieme a loro un manipolo di persone che ci mettono il cuore e il tempo, in cambio del piacere che, con le loro idee e iniziative, riescono a infondere tra le persone che incappano, per caso o per volere, nelle loro manifestazioni.
Interesse negli occhi, lo percepivo dal palco, ad ascoltare le storie di Marzamemi e le riflessioni attorno al pesce azzurro; coinvolgimento da concerto rock, l’ho vissuto tra il pubblico, alle ballate del cantastorie siciliano Luciano Busacca che, in piazza Regina Margherita, raccontava la parodia del bandito Giuliano, con i suoi tendoni illustrati (“mio nonno li disegnava con il carbone sui muri”); piacere assoluto nel camminare tra i vicoli, lungo le spiagge, sostare nella piazza, degustare le fritture di pesce azzurro nel ristorantino all’aperto allestito dalla Pro Loco. Queste le sensazioni vissute e la consapevolezza, come ho avuto modo di dire a Giuseppe e Nino, “di essere in stage” ad una scuola di vita e di cultura.
“Ci sono rimasti duecento abitanti dei duemila che vivevano le case dei pescatori ai tempi della tonnara, qui a Marzamemi. – mi racconta Nino Campisi, presidente della Pro Loco – E in estate si arriva anche a 15.000, con tutti i problemi che genera una massa di persone in uno spazio così piccolo. Noi stiamo facendo un lavoro di monitoraggio, con l’apertura dell’info.point, per capire da dove arrivano, cosa cercano, come ci stanno, anche solo per poche ore, nel nostro borgo. Ci potrà servire per indirizzare meglio le nostre iniziative e potrà essere utile a chi si deve occupare delle politiche turistiche”.
Per ora fanno tutto da soli, grazie ad un volontariato che è sinonimo di voglia di crederci, di dimostrare che, con onestà e trasparenza, si può rendere migliore un luogo e la vita di quel luogo.
È vero, in piena estate non si cammina per i vicoli del borgo; è vero, forse ci sono troppi locali dedicati al cibo e non è detto che la qualità sia di tutti; ma è altrettanto vero che quei vicoli, quelle casette basse dei pescatori, quella tonnara, quel palazzo dei principi Villadorata che domina la piazzetta, senza le persone che a Marzamemi hanno investito in attività commerciali forse oggi sarebbero in disuso. Risulta sempre difficile trovare la giusta misura quando luoghi di tale magia vengono scoperti.
Marsà Al Hamen (Rada delle tortore), questo il nome originario di Marzamemi quando venne fondata dagli arabi, ha questa straordinaria capacità di reinventarsi, senza cedere di un millimetro dalla sua storia millenaria. L’esempio arriva proprio da Nino Campisi e dai suoi, tutti, che vogliono far vivere Marzamemi, cercando di spiegarla, con le sue storie di pescatori che, alla chiusura della tonnara, hanno reagito accendendo le lampare “là dove il mare luccica” per dedicarsi alla pesca del pesce azzurro.
Ci stanno riuscendo, insieme a tutti quelli che non si accontentano di esporre menu turistici. Noi ci siamo arrivati, per la prima volta, due anni fa a inizio primavera; la piazza Regina Margherita era deserta nel suo meraviglioso candore e il borgo lo potevi abbracciare con uno sguardo.
Al piano terra del palazzo dei Villadorata – i principi che fondarono nel ‘700 il borgo, così come lo vediamo – c’era (e c’è) un piccolo locale dal nome curioso: Liccamúciula, tradotto sta per bambina golosa.
Lo ha fondato Barbara Fronterrè, nel 1999: è un bar, è una libreria, è una bottega artigiana, è un ristorantino di cucina siciliana, è una dispensa di delizie dell’isola. È ciò che ti porti via, insieme a luce e colori irriproducibili, e ti fa venir voglia di tornare ancora e ancora.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it