Poche ore di tempo da spendere prima della partenza da Torino e la mia decisione di visitare il Balon, lo storico mercato delle pulci del capoluogo piemontese.
Ecco, io al Balon non sono mai arrivata! Ci ha pensato il mercato di Porta Palazzo, che avrei dovuto attraversare per giungere a destinazione, ad arrestare la mia volata. Una fitta distesa di tende da mercato colorate o millerighe, a copertura di una parte consistente di piazza Repubblica, ha agito da richiamo.
“Tu sei la donna del grano e delle cipolle. Tu sei il produttore di pomodoro riccio. Tu quello delle mozzarelle”. Mi ci sono voluti pochi secondi per individuarli con assoluta precisione, come se li conoscessi da sempre tanto appassionato è stato il racconto dei suoi contadini che Franco Pepe, il pizzaiolo di Caiazzo, mi aveva fatto fin dal nostro arrivo poche ore prima.
Mi sono trovato in loro compagnia in un luogo insolito, una delle tante sorprese che ti riserva una giornata con il maestro pizzaiolo se ti lasci accompagnare e coinvolgere dall’amore indissolubile che nutre per la sua terra; infatti eravamo tutti un po’ stupiti, nelle sale del seminario vescovile, mentre Rossano Orchitano, giovane fotografo caiatino, ci illustrava lo straordinario processo di digitalizzazione dell’intera biblioteca ecclesiastica che lui e il suo piccolo gruppo di collaboratori hanno portato a termine in soli sei mesi: 400.000 fogli di documenti, registri e libri dal 1.200 ad oggi.
Poi la passeggiata tra i vicoli, in attesa di sederci in uno dei tavoli di Pepe in grani dove le loro storie si sarebbero svelate, tra gli ingredienti che compongono la pizza definita migliore del mondo dal critico Daniel Young e le parole in libertà.

Pepe in grani (c) 2016 Luciano Furia
www.lucianofuria.com
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La bellezza attrae e svela, a ben interrogarla, come un pieno che si contrappone al vuoto.
Camminiamo a passo spedito verso il Porto Canale di Cesenatico. La tappa non è programmata e non abbiamo molto tempo ma prevale il desiderio di carpire, anche per pochi attimi, la quiete di quel luogo, come solo una sera d’inverno sa regalare.
A un tratto entrambi veniamo attratti da una vetrina che si affaccia sulla via: Luigi per i libri esposti, io per due oggetti in bella mostra sulla scalinata all’ingresso.
Due colpi di fulmine che ci portano istintivamente a due diverse reazioni: lui entra e inizia a sfogliare libri, io resto fuori a rimirarmi questi oggetti, affascinata.
Ci sono dettagli che ti portano ad immaginare che, varcata la soglia della libreria, troverai di certo qualcosa di buono da leggere. Se poi, da quei dettagli, senti che c’è anche qualcosa di bello da raccontare allora il tempo cambia il suo ritmo, ti attardi davanti ad un oggetto oppure ad una copertina, come in questo caso, perché senti che si può andare oltre al piacere individuale che ti danno buone pagine da leggere; senti che qui c’è qualcosa da condividere.
Pagina 27 è il nome che Stephanie ha scelto per la sua piccola libreria a Cesenatico, dove non c’è un titolo da vetrina, non c’è una strenna, non ci sono sconti promozioni al 25% per invogliare il lettore all’acquisto.
Una tovaglietta in carta grezza con il timbro di un volatile stilizzato che al posto delle zampe ha il piede di un calice, le posate avvolte in un tovagliolo di carta ma legate con una passamaneria di pizzo nero bastano a comunicare la cura, che qui è capacità di creare associazioni, collegamenti sull’onda di un filo conduttore dove nulla è lasciato al caso.
A vegliare su ciò che accade due colombi urbani, splendidi pezzi di design, appollaiati su una graticola incastonata nel muro perché, per chi non lo sapesse, Ferrara è anche la città dei piccioni. E proprio i piccioni, “picchioni” per dirla con l’attore Vincenzo Salemme, sono diventati il simbolo di quest’enoteca denominata Picchioni, accogliente come un nido e calda come l’abbraccio di cui si ha bisogno quando ci si concede una pausa, uno stacco.
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“Pensavo di aver visto tutto, in realtà quest’opera ha scardinato tutte le convinzioni”. A fare questa affermazione è Saverio Tutino, giornalista e scrittore, ideatore dell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Tutino pronunciò queste parole nel 2010, un anno prima della sua morte, in un’intervista a proposito del diario di Vincenzo Rabito, siciliano, semi-analfabeta.
Rabito, di professione cantoniere, si trovò di fronte ad una macchina da scrivere e decise di impararne il funzionamento, arrivando a battere sui tasti oltre mille pagine di un diario in cui raccontò la sua vita, intervallando ogni parola da una virgola o da un punto e virgola. Quei fogli, tenuti insieme da un fil di corda, vennero consegnati all’Archivio dei diari dal figlio Vincenzo.
“Buongiorno, Maria, ha posto per venerdì sera?”. “Sì” risponde con voce squillante, poi incalza con un “cosa vi preparo?”, segnale distintivo del suo modo di lavorare da cinquant’anni a questa parte.

La Trattoria Biasini in una foto degli anni ’80
Sì perché alla trattoria Biasini funziona così. La scelta dei piatti è al momento della prenotazione e non la sera stessa. Maria cucina in modo misurato, ogni giorno, e come regola non riscalda mai suoi piatti “Vuole mettere un’anatra riscaldata? E’ tutta un’altra cosa!”. Non riscalda e non spreca. Poche e chiare regole che fanno di lei una cuoca non solo attuale ma avanti, se si considera che ha sempre fatto così.
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Lo confesso, ho spesso considerato i musei spazi chiusi e autoreferenziali, di pura conservazione della memoria, dove la visita è tra l’obbligo (vedi i grandi musei internazionali) e il riempimento del tempo nelle ore più calde o più lente di una giornata di vacanza.
L’esperienza vissuta a Cortona a Capodanno, in un museo dove il motivo di visita non era fine a sé stesso, mi ha aperto una prospettiva completamente diversa, coinvolgente e dinamica. Complici Vittorio Camorri, di Terretrusche, e Albano Ricci, assessore a turismo e cultura della città etrusca.
Non c’è niente di più bello che imbattermi in qualcosa che catturi la mia attenzione così, all’improvviso, senza che lo stia cercando, solo perché si trova lungo il mio tragitto. E regolarmente mi fermo, anche se per poco, perché lo stupore della sorpresa e la curiosità che si innesca sono troppo forti.
Stavo attraversando il cuore della vecchia Firenze, l’Oltrarno, quando imboccando Borgo Santissimi Apostoli, una via tranquilla e ovattata, costellata qua e là di poche e composte vetrine, ho intravisto a distanza una voluminosa esposizione di oggetti, indefiniti alla mia vista, a rivestire la facciata esterna di una torre antica e a fare da cornice a una porticina.
È come entrare nella bottega di Mastro Geppetto, che da un tronco diede vita a un bambino. Il legno ha questa magia, o meglio il legno ha un’anima e, se mai ce ne fosse bisogno, a Venezia basta varcare la soglia di Fondamenta Soranzo della Fornace, al civico 341, per rendersene conto.
Qui i pezzi di tronco non diventano pupazzi, ma dalla grezza crisalide con cui arrivano tra le mani di Saverio Pastor si trasformano in eleganti fórcole; quel braccio particolarissimo che dona fascino e funzionalità alle gondole per agevolarne il ritmo della voga.