“Io ebbi una famiglia numerosa, undici di noi. Mio padre non aveva tante possibilità e mi mandò subito a lavorare da Iaccarino. Avevo 13 anni e facevo il commis di cucina, stando vicino allo chef; gnocchi, cannelloni nel forno a legna. E mi piacette a questa signora qua, la mia moglie… era una ragazza molto verace”. Non ce l’ho fatta, guardandoli a breve distanza, a non essere curioso.
Sto parlando di Paolo e Filomena De Gregorio, i genitori di Mimmo, il patron dello Stuzzichino di Sant’Agata ai due Golfi, Costiera Amalfitana.
Glielo avevo promesso da tempo – quando vengo dalle tue parti, non mancherò di venirti a trovare – e Mimmo, con quel piglio da festina lenta, puntuale mi ricordava quella promessa.
Venuto il giorno mi presento nel suo locale, da poco ristrutturato. Colori mediterranei, commensali felici, piatti difficili da dimenticare, cucina a vista e dietro alla cucina lui: Paolo De Gregorio. Un signore di 73 anni che emana quel rigore dei gesti, tipico di chi sa come si lavora nella cucina di un ristorante.
Ma c’era qualcosa di più: lo osservavo mentre preparava i piatti destinati a gratificare il mio gusto e quello degli altri commensali sparsi dentro e fuori il locale. Una delizia che Mimmo sa raccontare talmente bene da renderla davvero indimenticabile.
Mi colpiva quel modo di muoversi, quel candore che spiccava grazie alla sua divisa, bianchissima, mentre intorno a lui si muovevano, un filo più agitati, i ragazzi della brigata. Ad un tratto comparve Filomena, sua moglie, e vidi lo sguardo d’intesa: antico, solido, ancora adolescenziale, nonostante (come poi svelarono) i 50 anni di matrimonio.
È stato in quel momento che la sensazione ha preso forma: quell’uomo, sua moglie, la famiglia che da loro ha preso vita – figli, nuore e nipoti – era l’emblema della pulizia, quella autentica, interiore. Che dà un senso alla vita.
Alla fine del pranzo ho voluto conoscerli, sapere tutto di loro, di come si sono incontrati, innamorati, sposati. Ed è stato come se anche loro non aspettassero altro: Paolo un fiume in piena, Filomena più accorta nel misurare le parole, con il pudore di una ragazzina.
“Mo’ ero piccolina, tenevo quattordici anni e non era come adesso che mo’ sanno tutt’e cose” confida Filomena.
“A me mi piaceva andare con le ragazze, a scherzare, ma da quando la vidi le stetti sempre appresso. Lavorava anche lei dagli Iaccarino (i genitori di Don Alfonso ndr), faceva le camere e serviva ai tavoli. – racconta Paolo – E il proprietario era contrario a che le stavo sempre addosso. Neppure il padre suo non voleva: mia figlia è piccolina. Un giorno lo incontrai e gli dissi: a me mi piace proprio vostra figlia!”
Fu così che Paolo, dopo la visita di leva a Caserta, si presentò a casa di Filomena: “Di domenica, con la giacca di velluto, la cravatta. A me mi piace troppo vostra figlia” dichiarò.
“Non si scherza, devi essere deciso. Si o no” fu la risposta del padre.
Lei 19 anni, lui 23, si sposarono. Era il 1968. In Italia scoppiavano le proteste giovanili. A Sant’Agata due ragazzi costruivano la loro vita futura.
Paolo si trasferì al Tramontano, l’altro albergo degli Iaccarino. Nacque il primo figlio, Giuseppe, pochi mesi dopo. Mentre Mimmo nacque quasi per uno scherzo del destino, raccontano divertiti Paolo e Filomena: “La notte di Capodanno, alla fine del servizio, restammo a dormire in una stanzetta dell’hotel. Si ruppe il letto e restammo incastrati. Madonna, mi sa che abbiamo combinato un guaio”. Il 22 agosto 1971 nacque Mimmo.
“Mio padre lavorava a Napoli, al ristorante Caruso. Era pagato benissimo, quando gli dissi di tornare a lavorare con me. – confida Mimmo – Sei sicuro di volere proprio me? Mi chiese. Ero sicuro. Era la persona che volevo. Lui non ci penso un attimo di più e iniziammo l’avventura dello Stuzzichino”.
Paolo lo comunicò: “Tra quindici giorni me ne vado. Passai le consegne ai ragazzi e tornai a Sant’Agata. Appena saputo che ero tornato mi chiamarono dal Tramontano perché non trovavano cuochi. Feci alcuni mesi sia là che qui, dove mi aspettavano i ragazzi del paese ogni sera, per le mie focaccine, le pizzette, gli arancini. Tenevo pomodoro, mozzarelle e melanzane fresche per fare le pennette allo stuzzichino”.
Nasce così lo Stuzzichino, da tavola calda a osteria dell’Alleanza di Slow Food.
Il merito è di tutti, di Paolo e di Filomena che, pur non cucinando, prepara un peperone ‘mbuttunato da perderci il palato; da Mimmo e Dora che hanno trasformato questo piccolo locale in un luogo del cuore; da Paolo e Filomena, i loro figli, ancora piccoli ma che si aggirano, nel tempo libero, tra i tavoli del ristorante, ripassando ad alta voce l’inglese, assaggiando i piatti del nonno.
“Faccio tutto io in questa cucina, le basi, tutto io, tutto a memoria. La cucina che io faccio è veramente cucina: il minestrone, il ragù… Adesso fanno le presentazioni, le preparazioni, ma una polpetta al ragù, proprio quella napoletana, dove nella carne macinata ci vuole il profumo di vino, chi lo fa più, chi sta tutto quel tempo che serve a fargli prendere il giusto sapore” racconta Paolo.
Scene di semplice vita familiare, suddivisa in tre generazioni, che si ritrovano, alla fine del servizio, attorno ad un tavolo, per mangiare e chiacchierare. Non squillano cellulari, non c’è il rumore della televisione: ci sono loro, uniti. Li guardo dal mio tavolo mentre assaggio le ciliegie che la piccola Filomena mi ha portato, raccogliendole dalla pianta con Mimmo.
Paolo si gira verso di me, mi guarda, ormai amici, e sussurra: “è ‘na storia la vita”.
Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it